Parla Paolo Vizzari: «Biella scommetta sul vino»

L’INTERVISTA

Paolo Vizzari, ‘enfant prodige’ classe 1990, è uno dei giovani narratori gastronomici emergenti. Nonostante una laurea in lettere, con una tesi di grammatica sperimentale su Gadda, ha deciso di seguire le orme del padre Enzo, uno dei critici più famosi in Italia e all’estero, scalando fin da subito ogni tappa e riscuotendo successi. Non ultimo, la partecipazione al format televisivo su Sky Arte, “Good Morning Italia”, condotto insieme a Joe Bastianich. Un viaggio goloso per narrare i territori italiani dal Friuli-Venezia Giulia alla Calabria.

– Dottor Vizzari, il Biellese dal punto di vista produttivo su quali eccellenze può contare?
«Per non dare la solita risposta scontata, in futuro è facile prevedere che bisognerà recuperare e puntare molto sulla produzione del vino. Per una questione scientifica e geografica il Biellese ha un’enorme potenzialità. Facciamo un esempio: per produrre nebbiolo, i nostri territori diventano interessanti sia per la posizione geografica, sia per le temperature meno rigide rispetto al passato. Questo è un settore che deve essere riconquistato».

– Lo stesso esempio virtuoso potrebbe venire dalla birra?
«Certo che si. Rispetto a qualche anno fa, in cui la birra aveva scalato le classifiche delle bevande con crescite esponenziali, oggi è un settore molto più stabile. É sicuramente un elemento della cultura gastronomica che appartiene al Biellese. Anche quando c’erano pochissimi locali, le birrerie ci sono sempre state e questo ha permesso la nascita di numerosi birrifici artigianali. Bolle di Malto, ad esempio, è una realtà ormai consolidata. Questo sta a significare che è necessario partire da quanto c’è di buono sul territorio e non buttare via l’”acqua sporca”, che è un dei più grandi sport biellesi».

– L’enogastronomia e la cultura del cibo, quindi, possono diventare una leva per il turismo?
«Sicuramente sono un buon viatico ma non saranno mai una leva decisiva. E mi spiego meglio: dobbiamo saper mixare. Avete delle eccellenze, avete dei singoli prodotti molto buoni, come i formaggi del Caseificio Rosso e Botalla, la gastronomia e le carni di Mosca che sempre più spesso servono chef stellati milanesi. Ma il problema di Biella e del Biellese non è la promozione o la produzione, ma è la ricostruzione valoriale e l’importazione delle competenze».

– Quindi l’unica vera eccellenza che possiamo vantare è la polenta?
«Assolutamente. Io stesso quando devo portare amici che arrivano a trovarmi a Biella, li porto a mangiare la polenta concia a Oropa. Quella è la vera peculiarità. Oltre ad essere un’eccellenza è il solo piatto che contraddistingue il territorio».

– È il nostro orgoglio quindi.
«Mah. Credo che il Biellese non debba essere troppo orgoglioso. Un esempio che spesso cito, è l’errore che i genitori fanno con i figli. Se è grassottello e gli vuoi bene a volte devi avere il coraggio di dirgli che è vero che sarai sempre stupendo e bellissimo, ma è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche e di mettersi a praticare più sport. Questo è un po’ il problema di Biella. A noi critici spesso viene rinfacciato che siamo troppo severi e dovremmo essere più aperti all’incoraggiamento. Ma l’incoraggiamento ci vuole quando inizi a fare bene. Prima ci vogliono i ceffoni…».
«Vede, il turismo ha bisogno di un tessuto locale felice. Io ho la fortuna di lavorare in realtà importanti, la Fiera del Tartufo d’Alba, le regioni Friuli Venezia Giulia e Sicilia. Sono Regioni diverse che hanno un unico comune denominatore: la gente del luogo è felice, orgogliosa, perché si sente parte di quel territorio e quando arrivano i turisti li coinvolgono. A Biella finché non attiviamo questa mentalità, coinvolgendo soprattutto i giovani, saremo sempre un posto vecchio che non potrà far altro che attirare turisti legati al pellegrinaggio a Oropa. Perché in verità, guardando i numeri, la maggior parte dei turisti raggiunge il Santuario».

– Quindi, cosa occorre fare per invertire questa tendenza?
«Dobbiamo imparare a parlare con la lingua di chi ascolta. Se vogliamo attirare i giovani non basta pensare al ciclyng o alla silver age, ci vogliono i video games, il metaverso. Pensi a Biella quante occasioni avremmo con tutte le strutture immobiliari a basso prezzo. Potremmo diventare il paradiso di tutti i gamers italiani. Nel mondo digitale non farebbe differenza collegarsi da qualsiasi parte del Mondo, che sia Biella o New York, ma se un gamer vivesse nel Biellese certo che farebbe la differenza, perché il costo dell’affitto è basso ed è un luogo qualitativamente bello. Sarebbe un’opportunità pazzesca. Ma occorre cambiare mentalità e visione».

– Questo vale anche per la ristorazione?
«Sulla ristorazione ha ragione mio padre. A parte qualche locale, il Biellese è piuttosto scarso. Quando alcuni ristoratori mi chiedono di dare qualche consiglio ai loro cuochi, rispondo così: non servono consigli, occorre una formazione di qualità. Spediteli alla corte di qualche chef stellato e vedrete che nell’arco di pochi anni la qualità dei ristoranti crescerà notevolmente. L’ho visto succedere in mezzo mondo, da Coopenaghen a posti imbrobabili. Dove c’è benessere puoi creare una meta gastronomica in cinque anni, però, ci devi portare formazione, competenza e investire denaro, coinvolgendo i privati che costruiscono hotel e ristoranti».
«Infine – aggiungo – che per rilanciare un territorio non servono grandi eventi, servono piccole attività di qualità. C’è, per concludere, un buco di pensiero che va colmato».

Michele Porta

CHI È PAOLO VIZZARI

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Paolo Vizzari, figlio d’arte, nasce nel 1990 e comincia a girare per ristoranti nello stesso anno. Seguendo le orme della madre, la giornalista Franca Calvesi, si laurea in lettere con una tesi di grammatica sperimentale su Gadda e prosegue con un master di narrativa e sceneggiatura alla Scuola Holden, che lo instrada verso una carriera nei mondi di cinema e fumetto. Nel frattempo comincia giovanissimo a lavorare con il padre Enzo (nella foto) per la Guida «I Ristoranti d’Italia dell’Espresso», e decide di dedicarsi tempo pieno a quella che in fondo è la sua madrelingua: la gastronomia. Ha curato insieme al padre la rubrica La Tavola del settimanale L’Espresso, e collabora o ha collaborato con Repubblica, MTV, Radio Deejay, La Cucina Italiana, Traveller, Cook_Inc e Reporter Gourmet. Insieme al duo torinese Cavallito&Lamacchia, è autore del libro «Giovani&Audaci. Ritratti (quasi) veri dei cuochi che stanno rivoluzionando la cucina italiana»

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