Luisa Bocchietto: l’architetto e designer che il Mondo ci invidia

INTERVISTA A LUISA BOCCHIETTO.

Cinquant’anni fa il nostro mondo era un posto diverso, con problemi diversi e sfide diverse. Il design industriale ha rivoluzionato i beni di consumo ed è diventato il simbolo del progresso moderno. Le persone di tutto il mondo hanno accolto con favore prodotti più desiderabili e uno stile di vita migliore. Oggi il nostro mondo deve affrontare una nuova serie di sfide. Così come il nostro mondo è cambiato, così è mutato anche il mondo del design: si è evoluto ed è ora una professione interdisciplinare che sfrutta metodologia e creatività per risolvere i problemi e migliorare la qualità della vita delle persone. Luisa Bocchietto, Architetto, Designer, presidente dell’ADI (2008/2014) e del World Design Organization (WDO), (2017/2019) ha una visione molto ampia della funzione del design come strumento capace di migliorare il mondo. Il suo principale obiettivo istituzionale è quello di diffondere il concetto di sostenibilità che ritiene oggi imprescindibile per qualsiasi attività di progettazione.

L’INTERVISTA
– Il design è uno strumento fondamentale oggi per cambiare i costumi delle persone e agire anche sulle problematiche del cambiamento climatico. Com’è percepito questo tema?
«Per molti, soprattutto in Italia, il design è ancora apprezzato principalmente per il suo aspetto formale e funzionale, legato ai prodotti; se parliamo di design, in genere, alle persone vengono in mente belle lampade, bei mobili, belle automobili. Siamo un po’ vittime del nostro successo e di quello del Salone del Mobile che è un punto di riferimento internazionale del settore. Nel mondo, però, il design è oggi legato, oltre al prodotto, anche alla produzione di servizi e gestione di processi industriali volti a ridurre l’impatto ambientale e creare strumenti che migliorino la vita dei cittadini. Proprio WDO, l’organizzazione mondiale del design, e proprio all’inizio della mia presidenza, ha chiesto a tutti i suoi soci presenti all’Assemblea Generale, avvenuta a Torino nel 2017, di firmare l’impegno a perseguire gli obiettivi 20/30 delle Nazioni Unite, in tutte le azioni intraprese da progettisti, aziende, scuole e università, organizzazioni presenti in rappresentanza di più di 150 Paesi. Oggi si parla molto di questi obiettivi, ma si fa ancora troppo poco e l’impegno del design è quello di divulgare buone pratiche e sensibilizzare all’azione».

– Oggi si parla molto di sostenibilità. Come sta cambiando il vostro ruolo nel progettare oggetti e costruzioni?
«Appunto non ci si limita a oggetti fisici coinvolgendo la progettazione di prodotti più immateriali, come processi e servizi, che sono a monte e a valle del prodotto costituito da un oggetto o da una costruzione. Creare un nuovo prodotto significa pensarlo fin dall’inizio in modo che sia sostenibile, cioè che sia, per esempio, disassemblabile a fine vita, riciclabile nei suoi componenti, che riduca il consumo di materia, di peso, e di energia durante il suo uso, che non produca inquinamento, che sia quanto più possibile necessario e innovativo, non gratuito, che non sia usa e getta e riesca a diventare uno strumento utile per lungo tempo, che sia manutenibile, che sia comprensibile e usabile dal maggior numero di persone. Tutte queste caratteristiche devono essere parte del progetto all’inizio del percorso, come obiettivi per determinare la nascita di prodotti sostenibili. Siamo ricchi di oggetti, ora dobbiamo usare la nostra capacità per progettare soluzioni ai problemi che si presentano, legati al cambiamento climatico ed alla congestione delle grandi città. Dare beni primari e servizi accessibili alle persone, ridurre gli sprechi e i rifiuti, sono tutti temi al centro della progettazione attuale».

– Quali sono i presupposti di base e i punti chiave da considerare per progettare architetture sostenibili?
«Sono il rispetto dell’ambiente, della cultura locale, lo studio di soluzioni che riducano la dispersione e il consumo di risorse (acqua, energia, materiali), utilizzando fonti rinnovabili dove possibile, materiali derivanti da coltivazioni controllate, evitando sprechi non necessari e sfruttando le risorse locali, compresi gli architetti. Sostenibilità, a mio parere, va intesa anche come sostenibilità economica del sistema».

– I temi dell’upcycle e e del recycle stanno diventando, in questo periodo di crisi, sempre più centrali. Vuoi per un recupero delle materie prime, che si sceglie di non sprecare. Quanto è importante riciclare?
«Importantissimo per non sprecare risorse preziose. Anche i rifiuti hanno un valore se lo si sa riconoscere e mettere a sistema (pensiamo all’energia che ne può derivare, ai materiali che possono essere riutilizzati più volte). Alcune aziende creano prodotti dando una nuova vita a materiali usati, utilizzando il design e l’apporto dei designer.
Altrettanto importante, e si sta affermando sempre di più, è poter effettuare la riparabilità, evitando l’usa e getta, attitudine che condividono i paesi molto ricchi o molto poveri, per motivi diversi e che sta riempiendo i mari di materiali di scarto, pericolosi per la salute del pianeta. La ricerca della qualità, nel design, inoltre, contrasta l’abitudine a consumare velocemente le cose; alcuni prodotti diventano compagni della nostra vita e ci seguono per anni. I prodotti scadenti si trasformano velocemente in rifiuti».

– Ogni suo progetto è una storia nuova: ci spiega da dove trae ispirazione?
«Il lavoro dell’architetto e del designer è diverso da quello dell’artista, che usa l’ispirazione per esprimere una propria personale visione. Progettare è un lavoro che parte dall’analisi e dalla comprensione delle necessità per dare risposte condivisibili dalla collettività. Parlerei più di competenza acquisita nel tempo, sul campo, che di ispirazione. Certo poi c’è una parte personale di sensibilità che innesca le soluzioni formali utili a tradurre l’idea di base in una soluzione espressiva specifica».

– Le donne biellesi nella classifica della qualità della Vita, sono al primo posto in Piemonte e 23esime in Italia. Parlando di architettura e design, le donne hanno davvero una marcia in più?
«Non mi piace pensare a uomini e donne come entità contrapposte, con cose in più e in meno da vantare. Penso che le donne per lungo tempo non abbiano potuto partecipare attivamente alla vita decisionale collettiva per i motivi sociali, economici, culturali che ben conosciamo. Sono forse più entusiaste di poterlo fare e apprezzano questa opportunità. Sono più idealiste e meno corruttibili dal potere, credo perché hanno faticato di più per conquistarlo e intendono usarlo per esprimere la propria visione».

– Cosa frena le donne nel fare carriera?
«Credo sia il timore di perdere la propria femminilità nel diventare troppo assertive. C’è come la paura di invadere, innaturalmente, uno spazio di predominio maschile. C’è poi la pressione sociale che è sia psicologica che economica. I luoghi comuni e la mancanza di servizi scaricano in genere sulle donne la quotidiana responsabilità della gestione dei figli e degli anziani. La parità dei salari non è ancora realtà e chi perde il lavoro, nel caso della pandemia è risultato evidente, è la donna. Lavoro, indipendenza economica e conseguente autonomia sono collegati».

– Cosa consiglia ad una donna che vuole intraprendere una carriera come la sua?
«Come architetto di essere paziente, come designer di essere curiosa. Come augurio di avere buona salute e resistenza. La vita è bella, va vissuta su tutti i fronti: personale, famigliare, lavorativo».

– Infine, ha qualche rimpianto?
«Non ho rimpianti, ma per fortuna ancora molti desideri».
Michele Porta

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