Aggregazione e investimenti. Così cambierà la filiera industriale?

Paolo Barberis Canonico

Paolo Barberis Canonico, Presidente di Pratrivero spa (azienda che produce tessuto non tessuto, con due sedi in Italia con un fatturato di 32milioni di euro e una in USA con un fatturato di 21 milioni di euro, per un totale complessivo di oltre 50milioni di euro), vice presidente UIB, ha costituito due anni fa il club OLTRE per gli imprenditori dell’Unione Industriale Biellese con un principale obiettivo: fornire agli industriali biellesi occasioni di incontro e confronto con colleghi di rilievo nel contesto nazionale ed internazionale per «accendere» intuizioni e declinarle in strategie aziendali concrete.

– Presidente Barberis Canonico, in un recente incontro all’Uib l’economista Alan Friedman aveva raccontato che, oggi, le aziende per essere più forti dovrebbero mettersi insieme e puntare ad un fatturato di 500milioni di euro. Piccolo non è bello, aveva detto, anche se, durante il dibattito, proprio alcuni imprenditori avevano espresso un’idea diversa. Crede che nel Biellese sia la strada giusta da percorrere?
«La mia visione è diversa. In realtà, hanno ragione sia Freidman, sia alcuni imprenditori che a quell’incontro erano presenti. Un’azienda che fattura 500milioni di euro in un settore specifico è un’azienda significativa in un mercato globale e può fare strategia. Dieci aziende che fatturano 50milioni di euro, sono individualmente molto brave, ma non possono fare strategia. Le piccole o medie aziende si difendono, lavorano bene, (da questo lato ho una grande ammirazione per i miei colleghi), ma non possono fare strategia a livello più ampio. Prendiamo ad esempio il tessile. Il nostro è un settore difficile, competitivo, dove la manodopera conta e pesa molto, però, le nostre aziende riescono comunque ad avere ottimi risultati, tant’è che sono ancora i leader mondiali benché il Paese Italia, sino ad oggi, non sia stato così ‘friendly’ nei confronti dell’industria. Detto questo, credo che si debba trovare il modo per coniugare entrambi gli aspetti: in pratica bisognerebbe puntare ad un modello di aggregazione tra la grande azienda che può fare strategia e le peculiarità delle piccole aziende. La ricetta corretta di questa strategia è proprio legata al fatto che ci vorrebbe una struttura industriale di posizionamento grande, e al di sotto di essa, aziende più piccole, nelle quali ogni imprenditore continuerà a sentirsi ‘padrone’ a casa sua, occupandosi dell’aspetto produttivo».

– Ci può portare qualche esempio?
«Uno dei personaggi che ho invitato al club Oltre è stato Maurizio Marchesini. Marchesini è presidente di Marchesini Group Spa (leader nel packaging settore farmaceutico), una realtà che fattura oltre 450milioni di euro in un distretto molto simile al nostro. Tante piccole aziende, in un settore di eccellenza molto specifica. Lui ha realizzato un percorso molto intelligente. Ha creato un sistema di aggregazione con il ‘soft touch’. Il gruppo entra all’interno di una piccola azienda, acquisisce la maggioranza, mette in campo la gestione finanziaria rendendo l’azienda molto più solida e più forte, ma lascia all’imprenditore la gestione operativa del prodotto, in maniera molto gentile, molto delicata ma con una visione strategica complessiva. Questo è un meccanismo che potrebbe funzionare anche nel nostro distretto. Ad esempio, se oggi un lanificio di piccola dimensione è in difficoltà e chiude, questo non va a vantaggio degli altri lanifici concorrenti perché quella fetta di mercato, quelle competenze specifiche, vengono perdute. Con questo sistema, con il ‘soft touch’, invece (posto sempre che l’azienda sia comunque sana, il prodotto sia corretto ecc. ecc…), tutte le aziende intervengono e la supportano nella sua difficoltà così tutti ne guadagnano, compresi i concorrenti. Più ‘teste’ messe insieme, soprattutto in un settore come la moda, fanno più cose diverse e si crea un arricchimento complessivo».

– Si parla molto di diversificazione della filiera industriale. Fatto salvo che nessuno ha la sfera di cristallo, su quali settore dovrebbe scommettere per il futuro il territorio?
«Prendiamo ad esempio il distretto di Bergamo, nella Valseriana, uno dei distretti tessili più importanti d’Europa. Oggi il tessile, sul totale dell’economia locale, conta pochissimo perché oltre al tessile hanno saputo diversificare in molti settori e i fatturati rispetto agli ultimi trent’anni sono triplicati. Vede, nel Biellese, la ricchezza non è l’industria tessile, sono gli imprenditori. Ecco perché credo che la diversificazione sia possibile. Oggi il movimento che sta nascendo per sviluppare l’industria del turismo è una grande opportunità. Bisogna guardare ad una crescita a lungo termine, lenta, ma, se ci crediamo con una visione ventennale, potrebbe risultare un buon investimento. Un po’ come ha fatto Alba venticinque anni fa. Certo, bisogna trovare anche professionisti che sappiano fare il proprio mestiere e puntare su nuove figure molto preparate. Incominciano ad esserci anche volumi interessanti, sia nel settore alberghiero, sia nella ristorazione: dobbiamo tenere duro, perché il settore turistico ha delle grandi potenzialità. Una delle più grandi ricchezze del Biellese è il suo paesaggio. Quindi servono investimenti, strutture e connettività a 360°, dal treno alle strade a internet».

Michele Porta

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